martedì 21 novembre 2017

Una vita sotto il segno del biscione..

Negli anni '50 il mondo stava riemergendo dal conflitto insensato e terribile in cui era rovinosamente naufragato e anche la vita riprendeva con entusiasmo ma soprattutto con una forte tenacia e costante volontà grazie non solo al Piano Marshall ma anche alla riacquisita libertà e al ritrovato sorriso.
I cantieri in Italia sorgevano ovunque. Le ruspe lavoravano giorno e notte per spazzare via quanto prima, insieme alle macerie, le perdite e i dolori di un intero paese. Era l'Italia del dopoguerra, della ricostruzione, di un ritorno alla vita e alla normalità. Un'Italia operosa ed appunto entusiasta. In fondo non poteva che andare meglio rispetto al baratro in cui si era precipitati. I sopravvissuti si ritrovavano, le famiglie si ricongiungevano, la terra rifioriva sulle voragini delle bombe.
 
E proprio nel 1950, come riportato da alcune vecchie foto di casa, si partì da Roma per un viaggio davvero avventuroso per quei tempi che fino ad alcuni anni fa i miei genitori ancora amavano ricordare.  Mio padre, mia madre, mio fratello piccolo Giuseppe e i miei due nonni materni alla volta della Sicilia per raggiungere la nonna paterna, i parenti di Catania e ritrovarsi finalmente di nuovo tutti insieme nella campagna alle falde dell'Etna che da oltre 500 anni appartiene alla nostra famiglia. Si partì a bordo di una imponente Mercedes nera con gli strapuntini, con targa SCV (Stato Città del Vaticano) e tanti bagagli sul tetto.

Era guidata da mio zio, Raffaello Flugi Von Aspermont, antica e nobilissima famiglia boemo svizzera, cugino del poeta francese Guillaume Apollinaire, volontario a 16 anni nella 1 guerra mondiale, legionario fiumano, pilota ed alpino. Forte della doppia cittadinanza italiana e svizzera, ebbe un ruolo chiave e delicatissimo nella resistenza romana come figura di collegamento tra il Vaticano, il Governo del tempo e gli Alleati. Insieme a mia zia, Gemma d'Amico baronessa Flugi Von Aspermont, riuscì a salvare dalla cattura e dalla deportazione centinaia di ebrei e politici contrari al regime. Mia zia era una magnifica pittrice, fu allieva di Felice Carena, amica di Alberto Savinio, Dino Buzzati e dei più famosi artisti del suo tempo. Collaborò a metà anni venti con l'allora Vescovo Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI°, di cui fu sempre in stretto contatto ed amica, per ristrutturare la FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana in cui crebbero e si formarono numerosi personaggi e futuri parlamentari della Democrazia Cristiana che poi, nell'immediato dopoguerra, dettero uno straordinario contributo ai lavori dell'Assemblea Costituente.

Sono così cresciuto in un ambiente non austero, ma molto colto e di antiche tradizioni; alti funzionari dello Stato, militari eroi di guerra, ecclesiastici di rango, studiosi e ... pazzoidi, nel senso brillante ed estroso della parola ... Una formazione insolita e davvero particolare per un adolescente che vagava sotto quadri di antenati con uniformi piene di medaglie o collari con la Croce su paludamenti purpurei ! Lo zio Generale Federico, lo zio Sua Eminenza Lorenzino, la prozia Reverenda Suor Maria Antonietta ( che si diceva fosse in odore di santità ... mah ? ).  Quando passavo da solo sotto quei ritratti polverosi, che pure mi osservavano con alterigia, li omaggiavo con qualche pernacchia che si trasformava in riverente ossequio alla presenza di mia nonna, nata baronessa Gussio. Questa premessa è importante per l'avvicinamento e l'amicizia con il nostro altrettanto vecchio " biscione ". 
Torniamo però al viaggio in Sicilia.

Ho dei ricordi lontanissimi ma molto vividi di quel viaggio di tre giorni che non finiva mai lungo la Pontina e la Fettuccia di Terracina ( quella dei records di Taruffi ), la Domiziana, Capo Miseno, il pernottamento a Napoli davanti Castel dell'Ovo, e poi giù verso le Calabrie, Lagonegro, tornanti a non finire, salite e discese, con soste continue per bisogni di ogni tipo. Dell'Autostrada del Sole penso che ancora non esistesse neppure il progetto!

E proprio nelle Calabrie avvenne un episodio, ancora vivo nella mia mente, che ben fa capire le incertezze e le paure che ancora pesavano soprattutto su quella parte del paese.  Arrivammo a tarda notte in un paesino sul mare, forse Praia a Mare, o forse Diamante, di cui ricordo solo qualche sparuto fioco lampione e il rumore del mare. Le poche case  affacciate sulla riva erano tutte ben sprangate. Finestre chiuse. Un'insegna Locanda e la speranza di riuscire a passare lì la notte. Qualcuno del gruppo bussa ripetutamente ma inutilmente. Finchè io assonnato accanto a mia madre, con mio fratello piccolino in braccio che piangeva disperato nel silenzio totale del luogo, scendiamo dall'auto per muoverci un pò e per la solita pipì. E solo allora si apre con cautela uno spiraglio di finestra, spuntano una lanterna e la faccia di una donna che, vista la scena, poco dopo scende e apre lentamente il portone. I miei raccontavano che ci aprirono solo dopo aver sentito e visto i bambini, soprattutto uno che piangeva, perchè di notte c'era molto timore dei banditi e dei dispersi della guerra che ancora si aggiravano sulle montagne retrostanti. Ecco perchè mio zio aveva un enorme pistola sotto il sedile ! Io me ne ero accorto.

E si arrivò finalmente a Reggio Calabria, il porto di Villa San Giovanni non era ancora agibile dopo i bombardamenti. Un traghetto scassato ci portò finalmente a Messina e dopo varie ore ancora in auto finalmente a casa ..... Il cancello spalancato, la nonna, preavvisata con telegramma dell'arrivo, era in prima fila, poi gli zii, i cugini e i contadini. Baci e abbracci a non finire. C'eravamo ancora tutti ... e non sembrava vero !  Era la prima volta che andavo in quella casa, dimora di campagna di mio padre, di nonni, bisnonni e antenati vari. I miei, fino a quel momento, avevano avuto loro notizie solo tramite i canali diplomatici vaticani, la Croce Rossa e comuni amici. Ogni giorno arrivavano parenti, cugini e amici mai visti a fare la visita di rito.

E laggiù feci la prima conoscenza con il "biscione".
Il mio "tutor" era Turiddu, figlio del massaro don Peppe (il fattore), mia guida ufficiale e primo amico.  Mi portava avanti e indietro per le campagne a scoprire un mondo affascinante, tra boschi di castagni fitti e lunghi che si ergevano su un tappeto di muschio e di ciclamini viola, torrenti vivi solo in inverno, vigne cariche di uva, mandarini e limoni i cui alberi mandavano profumi di essenze orientali che ancora oggi mi emozionano ogni volta che li sento e a quegli anni felici mi riconducono. Le tane di lepri e conigli con i furetti che li stanavano, il vecchio e saggio cane Ulisse sempre pensieroso. E un osservatorio in pietra ancora mimetizzato ma abbandonato da dove, mi raccontava mio padre, un presidio di militari tedeschi controllava le navi che entravano nello stretto di Messina. Insomma  per me fu per anni un vero paradiso terrestre di cui ero esploratore e conquistatore armato di una semplice cerbottana ricavata da una canna e di un bel fucile a tappi.

Finchè nel solito fienile, dietro una mangiatoia di buoi, coperta di polvere, sacchi di concime e attrezzi di ogni genere, scoprii una antica automobile senza le ruote, di colore scuro con una sottile linea gialla lungo la fiancata. Era appoggiata su tronchi di legno e aveva fari enormi che mi sembravano dei riflettori antiaereo. Era la vettura del nonno, nascosta lì dietro per sottrarla ai tedeschi in ritirata dopo l'arrivo delle truppe americane sbarcate in Sicilia. Sul radiatore c'era uno stemma strano con la croce dei guerrieri in terrasanta e a fianco di essa un serpente con un bambino in bocca.

La vista di quello stemma, le sensazioni che accendeva e le battaglie che evocava fecero nascere in me, lettore di Salgari e di Giulio Verne, emozioni incredibili. Emozioni e passioni che mi hanno accompagnato per una vita intera. Ma allora accesero e scatenarono la fantasia di un fanciullo e quella vecchia austera automobile divenuta un gallinaio si trasformò nella nave dei miei sogni e nel regno dei miei giochi. Poi un anno sparì. Avrò avuto forse quindici anni, pensavo ad altro, alle ragazze e alle moto soprattutto, ma il dolore di quella perdita, di quel magnifico giocattolo che aveva acceso una passione tanto grande, mi causa ancora rimpianti e malinconia. Fu data a un rottamaio, mi dissero, perché bisognava fare spazio al nuovo trattore, alla 600 del massaro, alla Vespa di Turiddu e ... al mio dolore. Un rimpianto che dopo oltre mezzo secolo è ancora tanto presente.

Oggi non esistono più l'antico fienile e neppure la vecchia cara stalla trasformati negli anni in una abitazione, certo più utile e comoda ma senza la mia gloriosa 1750. Era una berlinetta GT della Carrozzeria Touring...

Stefano d'Amico